Testimonianza sul Corso con Segovia a Ginevra
Di Piero Bonaguri
(da : Il Fronimo, N°42, gennaio 1983; per gentile concessione della rivista)

Andrés Segovia, Emilia Segovia, Piero Bonaguri
La partecipazione al corso di perfezionamento di Andrés Segovia a Ginevra è un avvenimento che lascerà un segno indelebile nella mia esperienza umana ed artistica.
Da quando (ormai quindici anni fa) ho iniziato lo studio della chitarra, ho sempre desiderato di incontrare Andrés Segovia e di avere un rapporto di discepolato con lui, anche se dubitavo che questo sogno potesse avverarsi. In questi ultimi anni avevo comunque cercato di tenere presente nel mio lavoro il grande esempio che la figura di Segovia rappresenta: anzitutto il suo amore per la musica e per la chitarra, la sua capacità di valorizzare ogni frammento di bellezza contenuto (e a volte celato…) nella musica che interpreta, ma anche la sua dedizione al lavoro, la sua tenacia nel perseguire gli obiettivi che si era prefissato. L’incontro personale con il Maestro mi ha trovato perciò in una posizione di lavoro e di attesa, anche se certamente è andato al di là di ogni mia aspettativa.Cercherò ora di comunicare brevemente alcuni ricordi ed impressioni.
La prima cosa che mi ha colpito nella persona di Segovia è stata la serietà e la passione con cui si è dedicato al corso, in altre parole il suo amore per il lavoro: sempre puntualissimo, spesso in anticipo sull’orario, generoso nel concedere la sua attenzione ed il suo tempo (il primo giorno ha lavorato dalle 9 alle 13 per le audizioni e dalle 16 alle 20 in classe, davanti ad una troupe della CBS; nell’arco del corso ciascuno dei dieci allievi ha ricevuto undici lezioni personali), paziente nel sopportare l’ “assedio” degli ammiratori durante le pause prima e dopo le lezioni.
Ma la cosa più impressionante è il modo di far lezione del Maestro, e specialmente la sbalorditiva facilità con cui coglie e comunica il senso musicale di ogni frase, di ogni nota; questa prontissima intuizione, che si traduce in suggerimenti concreti (spostare, aggiungere o togliere un legato, un portamento, una elisione, marcare un accento, ecc.) restituisce alla musica la sua espressione “naturale”; uno si accorge che “è così” e si chiede come ha fatto a non pensarci prima…
Questo modo di insegnare è agli antipodi della pedanteria, perché è innanzitutto la comunicazione di una “intelligenza” nei confronti del fatto musicale, e dal momento in cui l’allievo entra in sintonia con questa intelligenza tutti i particolari incominciano ad andare al loro posto, a formare un “ordine, e cioè, in definitiva, una forma, la forma in cui sfocia lo sforzo creativo” (Igor Stravinski, Poetica della Musica).
In questo modo Segovia favorisce l’instaurarsi di un rapporto personale tra l’allievo e la musica, per cui ciascuno può avvertire come la propria personalità venga rispettata e valorizzata; questo può avvenire però solo in un rigoroso rispetto della musica (Segovia è pronto a bloccare ogni intemperanza!), rispetto che a sua volta è l’espressione di un amore. Ad un allievo che stava suonando Bach, il Maestro ha detto: <<Bisogna per prima cosa essere precisi, osservare tutto quanto è scritto nella partitura; ma poi, senza venir meno a questo rigore, bisogna mettere nella esecuzione un amore, senza il quale il suonare perde significato. Di un artista senza amore una volta si è detto: è perfetto, ma niente di più>>.
Sembra che Segovia tema soprattutto la riduzione del fatto musicale al suo aspetto meramente “meccanico”, con la facile conseguenza della ricerca dell’effetto strumentale fine a se stesso; per questo motivo, tra l’altro, il Maestro suggerisce di moderare l’uso di alcuni effetti chitarristici (come ad es. il portamento, così comune nella musica di Tàrrega e di Llobet, che andrebbe limitato ai soli casi in cui è parte indispensabile della musica.<<con troppi portamenti la chitarra diventa uno strumento piagnucoloso!>>).
Un altro punto su cui Segovia è intransigente è il “culto” della velocità. Ricordo solo alcune frasi del Maestro: <<Bisogna essere dittatori, e non schiavi della tecnica>>. Villa – Lobos disse ad uno che suonava il suo 4° Preludio troppo in fretta:<<Lei mi sembra una macchina…senza macchinista>>.
E ancora: <<Quando salite sul palco, prima ancora che iniziate a suonare, vorrei dirvi: più lento!>>.
Alcune “amnesie” capitate ad un allievo forniscono lo spunto per parlare della memoria: Segovia spiega che la memoria deve essere prima di tutto musicale e non visiva, e deve essere accompagnata da una profonda conoscenza della tastiera dello strumento, in modo da poter trasportare immediatamente un passaggio da una posizione all’altra (per ottenere questo risultato il Maestro consiglia di allenarsi a trovare tutte le posizioni possibili di note singole e di accordi).
Spesso Segovia ci invita a suonare più piano: <<la chitarra>> dice <<è uno strumento persuasivo, deve persuadere, perciò va suonata piano>>.
Piano sì, ma con chiarezza; per questo motivo il maestro spesso suggerisce di sostituire gli armonici con le note reali, soprattutto quando si suona in grandi sale in cui gli armonici, particolarmente quelli artificiali, diventano come i violini di quella orchestra in cui il direttore diceva: <<sento i violini che non suonano!>>. (Il problema degli armonici è accentuato dalle moderne corde di nylon).
Anche attraverso questi suggerimenti concreti ci si rivela un rispetto pieno di amore per lo strumento, unito a quel sano realismo che proviene da decenni di esperienza del Maestro; sono, queste, due qualità indispensabili a chiunque voglia seriamente promuovere lo sviluppo della chitarra ed il suo pieno inserimento nel mondo della musica.
Altro argomento di grande interesse durante il corso è stato il repertorio. Quasi tutte le opere presentate da noi allievi appartengono al repertorio “segoviano”; tra queste, le composizioni di autori contemporanei come Ponce, Castelnuovo – Tedesco, Villa – Lobos, Turina, Torroba, sono nate spesso, come si sa, da una stretta collaborazione tra i compositori ed il Maestro. Questo fatto, tra l’altro, permette di considerare sotto una luce particolare il fatto che Segovia abbia apportato alcune modifiche a diversi brani, anche dopo la pubblicazione; trattandosi di musica per chitarra era indispensabile che l’esperienza dell’interprete, sottoponendo il brano al “tirocinio” di anni di concerti, suggerisse quegli interventi che sopperivano alle inevitabili lacune del compositore (chi poteva dire di sapere, agli inizi del ‘900, “come si scrive “ per chitarra?). Segovia afferma d’altra parte di non aver mai voluto suonare opere che non fossero adatte alla sonorità dello strumento.
Il corso è stato anche l’occasione per rievocare quella proficua collaborazione tra autori ed interprete dalla quale sono nate tante pagine importanti del nostro repertorio (come le Variazioni e Fuga sulla Follia di Spagna di Manuel Ponce scritte in una “completa comunione spirituale” con Segovia, tanto che molto, in questo brano, è stato suggerito dalle risorse strumentali della chitarra; ed è questo un motivo in più per osservare scrupolosamente la diteggiatura di Segovia, che qui fa veramente un corpo unico con la musica).
Man mano che il corso procedeva e si affermava sempre più l’autorità del Maestro, mi veniva spontaneo ripensare ai numerosi corsi a cui ho partecipato sotto la guida di Alirio Diaz e di Oscar Ghiglia e riconoscevo in essi la netta impronta della impostazione musicale e didattica di Segovia; era conferma della esistenza effettiva, nella sostanza, di una “scuola di Segovia” che rimane un punto di riferimento insostituibile, un patrimonio prezioso cui attingere costantemente una lezione di rigore e di gusto per la bellezza.
I giorni del corso sono passati in fretta. Dopo l’ultima lezione tutti gli allievi si affollano un po’ commossi attorno al Maestro, che dice: <<ho notato che non sempre le cose che vi ho detto sono state accettate; ma quando sarete più vecchi capirete che erano giuste! Ad ogni modo, è quando non dico nulla che bisogna preoccuparsi: è segno che non posso fare niente…>>.
Il giorno seguente saremo impegnati nel concerto finale; il Maestro porta un fascio di corde fatte per lui dalla signora Augustine, le misura una per una con un calibro, aiutato dalla signora Segovia, sceglie quelle perfette e ce le distribuisce: “Per domani!”.
Andrés Segovia è anche questo.
Piero Bonaguri (1982)
Da quando (ormai quindici anni fa) ho iniziato lo studio della chitarra, ho sempre desiderato di incontrare Andrés Segovia e di avere un rapporto di discepolato con lui, anche se dubitavo che questo sogno potesse avverarsi. In questi ultimi anni avevo comunque cercato di tenere presente nel mio lavoro il grande esempio che la figura di Segovia rappresenta: anzitutto il suo amore per la musica e per la chitarra, la sua capacità di valorizzare ogni frammento di bellezza contenuto (e a volte celato…) nella musica che interpreta, ma anche la sua dedizione al lavoro, la sua tenacia nel perseguire gli obiettivi che si era prefissato. L’incontro personale con il Maestro mi ha trovato perciò in una posizione di lavoro e di attesa, anche se certamente è andato al di là di ogni mia aspettativa.Cercherò ora di comunicare brevemente alcuni ricordi ed impressioni.
La prima cosa che mi ha colpito nella persona di Segovia è stata la serietà e la passione con cui si è dedicato al corso, in altre parole il suo amore per il lavoro: sempre puntualissimo, spesso in anticipo sull’orario, generoso nel concedere la sua attenzione ed il suo tempo (il primo giorno ha lavorato dalle 9 alle 13 per le audizioni e dalle 16 alle 20 in classe, davanti ad una troupe della CBS; nell’arco del corso ciascuno dei dieci allievi ha ricevuto undici lezioni personali), paziente nel sopportare l’ “assedio” degli ammiratori durante le pause prima e dopo le lezioni.
Ma la cosa più impressionante è il modo di far lezione del Maestro, e specialmente la sbalorditiva facilità con cui coglie e comunica il senso musicale di ogni frase, di ogni nota; questa prontissima intuizione, che si traduce in suggerimenti concreti (spostare, aggiungere o togliere un legato, un portamento, una elisione, marcare un accento, ecc.) restituisce alla musica la sua espressione “naturale”; uno si accorge che “è così” e si chiede come ha fatto a non pensarci prima…
Questo modo di insegnare è agli antipodi della pedanteria, perché è innanzitutto la comunicazione di una “intelligenza” nei confronti del fatto musicale, e dal momento in cui l’allievo entra in sintonia con questa intelligenza tutti i particolari incominciano ad andare al loro posto, a formare un “ordine, e cioè, in definitiva, una forma, la forma in cui sfocia lo sforzo creativo” (Igor Stravinski, Poetica della Musica).
In questo modo Segovia favorisce l’instaurarsi di un rapporto personale tra l’allievo e la musica, per cui ciascuno può avvertire come la propria personalità venga rispettata e valorizzata; questo può avvenire però solo in un rigoroso rispetto della musica (Segovia è pronto a bloccare ogni intemperanza!), rispetto che a sua volta è l’espressione di un amore. Ad un allievo che stava suonando Bach, il Maestro ha detto: <<Bisogna per prima cosa essere precisi, osservare tutto quanto è scritto nella partitura; ma poi, senza venir meno a questo rigore, bisogna mettere nella esecuzione un amore, senza il quale il suonare perde significato. Di un artista senza amore una volta si è detto: è perfetto, ma niente di più>>.
Sembra che Segovia tema soprattutto la riduzione del fatto musicale al suo aspetto meramente “meccanico”, con la facile conseguenza della ricerca dell’effetto strumentale fine a se stesso; per questo motivo, tra l’altro, il Maestro suggerisce di moderare l’uso di alcuni effetti chitarristici (come ad es. il portamento, così comune nella musica di Tàrrega e di Llobet, che andrebbe limitato ai soli casi in cui è parte indispensabile della musica.<<con troppi portamenti la chitarra diventa uno strumento piagnucoloso!>>).
Un altro punto su cui Segovia è intransigente è il “culto” della velocità. Ricordo solo alcune frasi del Maestro: <<Bisogna essere dittatori, e non schiavi della tecnica>>. Villa – Lobos disse ad uno che suonava il suo 4° Preludio troppo in fretta:<<Lei mi sembra una macchina…senza macchinista>>.
E ancora: <<Quando salite sul palco, prima ancora che iniziate a suonare, vorrei dirvi: più lento!>>.
Alcune “amnesie” capitate ad un allievo forniscono lo spunto per parlare della memoria: Segovia spiega che la memoria deve essere prima di tutto musicale e non visiva, e deve essere accompagnata da una profonda conoscenza della tastiera dello strumento, in modo da poter trasportare immediatamente un passaggio da una posizione all’altra (per ottenere questo risultato il Maestro consiglia di allenarsi a trovare tutte le posizioni possibili di note singole e di accordi).
Spesso Segovia ci invita a suonare più piano: <<la chitarra>> dice <<è uno strumento persuasivo, deve persuadere, perciò va suonata piano>>.
Piano sì, ma con chiarezza; per questo motivo il maestro spesso suggerisce di sostituire gli armonici con le note reali, soprattutto quando si suona in grandi sale in cui gli armonici, particolarmente quelli artificiali, diventano come i violini di quella orchestra in cui il direttore diceva: <<sento i violini che non suonano!>>. (Il problema degli armonici è accentuato dalle moderne corde di nylon).
Anche attraverso questi suggerimenti concreti ci si rivela un rispetto pieno di amore per lo strumento, unito a quel sano realismo che proviene da decenni di esperienza del Maestro; sono, queste, due qualità indispensabili a chiunque voglia seriamente promuovere lo sviluppo della chitarra ed il suo pieno inserimento nel mondo della musica.
Altro argomento di grande interesse durante il corso è stato il repertorio. Quasi tutte le opere presentate da noi allievi appartengono al repertorio “segoviano”; tra queste, le composizioni di autori contemporanei come Ponce, Castelnuovo – Tedesco, Villa – Lobos, Turina, Torroba, sono nate spesso, come si sa, da una stretta collaborazione tra i compositori ed il Maestro. Questo fatto, tra l’altro, permette di considerare sotto una luce particolare il fatto che Segovia abbia apportato alcune modifiche a diversi brani, anche dopo la pubblicazione; trattandosi di musica per chitarra era indispensabile che l’esperienza dell’interprete, sottoponendo il brano al “tirocinio” di anni di concerti, suggerisse quegli interventi che sopperivano alle inevitabili lacune del compositore (chi poteva dire di sapere, agli inizi del ‘900, “come si scrive “ per chitarra?). Segovia afferma d’altra parte di non aver mai voluto suonare opere che non fossero adatte alla sonorità dello strumento.
Il corso è stato anche l’occasione per rievocare quella proficua collaborazione tra autori ed interprete dalla quale sono nate tante pagine importanti del nostro repertorio (come le Variazioni e Fuga sulla Follia di Spagna di Manuel Ponce scritte in una “completa comunione spirituale” con Segovia, tanto che molto, in questo brano, è stato suggerito dalle risorse strumentali della chitarra; ed è questo un motivo in più per osservare scrupolosamente la diteggiatura di Segovia, che qui fa veramente un corpo unico con la musica).
Man mano che il corso procedeva e si affermava sempre più l’autorità del Maestro, mi veniva spontaneo ripensare ai numerosi corsi a cui ho partecipato sotto la guida di Alirio Diaz e di Oscar Ghiglia e riconoscevo in essi la netta impronta della impostazione musicale e didattica di Segovia; era conferma della esistenza effettiva, nella sostanza, di una “scuola di Segovia” che rimane un punto di riferimento insostituibile, un patrimonio prezioso cui attingere costantemente una lezione di rigore e di gusto per la bellezza.
I giorni del corso sono passati in fretta. Dopo l’ultima lezione tutti gli allievi si affollano un po’ commossi attorno al Maestro, che dice: <<ho notato che non sempre le cose che vi ho detto sono state accettate; ma quando sarete più vecchi capirete che erano giuste! Ad ogni modo, è quando non dico nulla che bisogna preoccuparsi: è segno che non posso fare niente…>>.
Il giorno seguente saremo impegnati nel concerto finale; il Maestro porta un fascio di corde fatte per lui dalla signora Augustine, le misura una per una con un calibro, aiutato dalla signora Segovia, sceglie quelle perfette e ce le distribuisce: “Per domani!”.
Andrés Segovia è anche questo.
Piero Bonaguri (1982)