Maestro, la scelta di un corso su Villa Lobos è stata dettata sicuramente dal 50° anniversario della scomparsa del musicista brasiliano. C'è anche qualche motivo più' profondo che l'ha spinta a proporre questo tema?
L’occasione è stata la coincidenza di questo anniversario del compositore con l’uscita del mio cd per la Universal (nella collana “Spirto Gentil”) che è dedicato proprio all’opera integrale per chitarra di Villa – Lobos.
Il motivo più profondo è invece legato alla formula del corso più che al tema di quest’anno: l’idea era quella di offrire una possibilità di approfondimento e lavoro insieme a giovani musicisti da me selezionati, che conoscevo e stimavo da tempo e che a loro volta, in genere, potevano essere in sintonia con il mio approccio, tentativamente “globale” e non tecnicistico al fatto musicale. Le due cose poi si sono fuse bene insieme: un musicista come Villa – Lobos, per lo spessore umano della sua musica, si presta particolarmente bene ad essere studiato all’interno di un contesto umano amichevole ed attento proprio a questa dimensione “umana” della musica.
Perchè ha scelto la ‘Scuola Grande di S.Filippo’ come luogo in cui svolgere questo lavoro? Un incontro casuale?
Anche qui ha giocato un ruolo fondamentale l’amicizia; in questo caso quella con Romano Valentini che della SGSF è direttore e che, sentendomi parlare di questo progetto del corso durante un pranzo tra amici musicisti l’estate scorsa, manifestò la sua disponibilità ad ospitarlo.
Nel ripensare al lavoro svolto, quale il giudizio ricavato e quali le indicazioni per il futuro?
Paradossalmente la cosa di cui sono più contento – certo, dovuta anche al bel clima di lavoro che si è instaurato da subito nel corso – è stata la crescita della mia conoscenza della musica che abbiamo approfondito con gli studenti. Un po’ scherzando dico che vorrei farlo adesso il disco, dopo un anno così di lavoro – perché la musica bella, più la si frequenta e più la si scopre, anche nel momento di insegnarla. Mi piacerebbe continuare questo lavoro anche l’anno prossimo, magari su un argomento diverso.
Sono poi stato colpito da alcune intuizioni emerse dagli studenti, frasi che abbiamo anche esposto in bacheca. Certo, sappiamo che le intuizioni poi devono tradursi in lavoro, ma il brivido della scoperta ha un fascino particolare: la conoscenza è sempre un avvenimento, ha detto qualcuno.
La scelta del “contenitore”, cioè la SGSF, si è rivelata poi particolarmente felice; un luogo dove si lavora con passione, precisione e competenza e che ha reso certamente più piacevole e proficuo il lavoro del corso.
E' una costante della sua attività di docente quella di coinvolgere gli allievi in un lavoro di gruppo. Cosa la spinge a fare questo? Qual è la preoccupazione? E' già forse un giudizio sulla didattica?
Non so se è un giudizio sulla didattica; nei corsi e masterclasses ho sempre favorito questa modalità perché era quella che avevo visto quando ero studente ai corsi di Diaz, Ghiglia, Segovia…. Nel farlo da insegnante mi sono reso conto che la cosa era molto interessante e stimolante per me, perché quando è presente la classe emergono spunti ulteriori rispetto alla lezione in cui l’allievo è da solo con l’insegnante.
Allora cerco di portare questa esperienza anche nel lavoro in conservatorio, almeno in certi momenti. Per l’esperienza che ho, credo che limitare la esperienza didattica ad una serie di incontri “a due” con l’allievo sia meno proficuo.
Qual è il compito di un musicista oggi?
Forse è quello di sempre: fare incontrare tendenzialmente a tutti la bellezza della musica.
Forse la chitarra oggi aiuta in questo compito perché è uno strumento ricco di potenzialità e dal suono nobile e poetico, ma nello steso tempo è duttile nell’adattarsi a diversi linguaggi musicali ed è trasportabile praticamente ovunque; quindi si presta a fare da tramite a questo incontro tra le persone e la bellezza della musica anche al di fuori dei canali concertistici tradizionali e degli ambiti ufficialmente deputati a questo.
Me ne accorgo pensando a quando suono per gli amici, nelle scuole e perfino quando approfitto dei viaggi in treno per studiare; siccome la gente ormai non canta praticamente più, sentire echeggiare improvvisamente qualche suono “ordinato” ed emesso dal vivo, magari in viaggio, dove uno non se lo aspetterebbe, genera come una immediata simpatia. Ma anche nei concerti “ufficiali” cerco di arrivare al “nocciolo” senza incrostazioni e paludamenti che distraggano o creino inutili distanze; e il nocciolo è l’incontro, direi “da cuore a cuore” tra la musica, chi la suona e chi l’ascolta.
Qual è per Lei il significato primo dell'esperienza musicale?
IL suono è un mistero in se stesso; come tutto ciò che esiste, del resto - qualcosa che potrebbe non esserci e invece c’è. Non a caso un grande educatore per dare un esempio concreto del fatto che l’uomo non si fa da sé dice che l’uomo è come una voce - che esprime, per il suo stesso essere, la persona che la emette.
Ma quando i suoni sono anche ordinati con arte e diventano espressione profonda e bella del cuore dell’uomo, della sua storia, della sua cultura, di ciò a cui tende, diventano allora grandi compagni di strada nell’avventura della vita, occasione di conoscenza vera, indici puntati verso l’ideale del cammino umano.
Nella musica, come nell'arte in generale, resta fondamentale per crescere il rapporto con un 'maestro'. Appartiene solo alla sfera della tecnica oppure questo legame feconda anche gli altri aspetti della vita di chi si implica con esso? Ha ancora senso per Lei oggi parlare di maestri?
Pensando a quella che è stata certamente la mia esperienza più significativa come studente di musica, e cioè il mio rapporto con Segovia, direi che ad un certo punto l’aspetto tecnico è quello meno importante.
Ho parlato e scritto molto di questo rapporto, che iniziò veramente quando io mi rivolsi a Segovia per un paragone rispetto al mio tentativo di immedesimazione personale nella musica. Più che qualcuno da copiare cercavo allora, e trovai, qualcuno in cui immedesimarmi – nella sua tensione alla bellezza, nel suo rispetto del testo, nei criteri operativi ispiratori di un fare artistico. In questo senso forse la parola “maestro” è un po’ stretta, e bisognerebbe usare piuttosto, sia pure con cautela, quella di “padre”; è infatti, questo, un livello in cui chi insegna partecipa ad una esperienza di paternità, nella quale si genera qualcosa che è originale, proprio perché (è un paradosso) figlio e non semplice imitatore, come direbbe Peguy. Ho letto che Segovia disse ad un allievo: “Non devi cercare di essere il secondo Segovia, ma il primo te stesso”. E’ una frase molto segoviana, dice molto in poche parole - in questo ancora non riesco tanto bene!
Comunque, è più facile oggi per un giovane appoggiarsi ad un adulto chiedendogli “cosa fare” invece che impegnarsi nel fare propri i suoi criteri; ma così facendo, a parte un momento iniziale in cui è necessario imitare per apprendere, non si diventa mai “adulti”, neanche artisticamente.
Le difficoltà del momento presente ostacolano spesso lo sviluppo della vita del giovane musicista, influendo sopratutto sull'entusiasmo che nasce dalla percezione di avere in mano 'uno strumento' per l'espressione di sé. Cosa ritiene sia fondamentale comunicare ai giovani musicisti di oggi?
Come diceva Don Abbondio, il coraggio uno non se lo può dare…
Nelle difficoltà che porterebbero a rinunciare - o ridimensionare, che è poi la stessa cosa – ad una idealità è fondamentale, per ciascuno di noi, non essere soli, ma incontrare qualcuno che a queste idealità e al valore di questi strumenti non rinuncia. Allora può venire voglia anche a noi di essere così. Perché certo il “fuoco sacro”, come diceva Segovia, non può essere dato dal maestro all’allievo; può però essergli testimoniato.
C'è nella produzione contemporanea una domanda di significato, una preoccupazione di comunicare un senso oppure la musica oggi parla un linguaggio tutto suo, indecifrabile dai più e quindi non utile alla causa umana?
Sarebbe un discorso lunghissimo, ma credo in sintesi che la musica d’oggi
non sia affatto di per sé condannata a tale inutilità .
E non in quanto possa permettersi di ignorare - o magicamente tirarsi fuori - dal contesto culturale ed anche di linguaggio che è, per varie cause, “accaduto” nel Novecento ed oltre, inevitabilmente anche segnato dalle ferite di questo tempo così drammatico. E, come diceva Stravinski, non possiamo non essere contemporanei.
E’ vero che forse c’è tanta musica contemporanea “inutile”, ma potrei anche parlare di tanti compositori ed opere in cui questa “utilità” io la trovo, e non solo: la trovo per qualcosa che non potrei trovare così neanche nei più grandi capolavori del passato musicale. Non perché questi capolavori del passato siano di minor valore rispetto a quanto si scrive oggi, ma perché uno spunto, anche piccolo, di bellezza reale che accade in un’opera d’arte che “fa i conti” con la modernità mi testimonia che anche nel deserto di oggi possono nascere fiori. Per questo sono convinto della importanza di collaborare con tanti compositori che scrivono per me.
Poi si tratta anche di trovare le giuste forme comunicative: credo che nessuno possa aver trovato strane o inappropriate le dissonanze della musica di Penderecki nella colonna sonora del nuovo film “Katyn” di Wajda;
il contesto spiegava, anzi direi che urgeva una musica così. Questa allora diventa una ulteriore responsabilità mia: inserire la musica in un contesto che aiuti a capirla. E chissà che anche in questo la SGSF possa essere di aiuto…
Progetti futuri?
Sicuramente portare avanti, o forse piuttosto essere portato da questo “avvenimento” che è stato ed è l’anno di Villa – Lobos, il cd e quanto è nato negli scorsi mesi. Pare delinearsi anche un tour brasiliano tra pochi mesi.
Vorrei poi, tenendo come riferimento quella musica così viva , nuova e comunicativa, portare lo stesso impeto nel lavoro sulla musica contemporanea, anche ordinando e rendendo accessibile il repertorio ormai consistente di pezzi che si sono scritti e si stanno scrivendo per me. Sento l’esigenza di registrare, pubblicare ed insegnare i prodotti più significativi di questo repertorio. Anche su questo ho alcuni inviti, in particolare da alcuni conservatori, a presentare i frutti di questo lavoro, al quale vorrei dedicare anche il prossimo corso alla SGSF.
Vorrei anche dedicarmi, sempre utilizzando la chiave di lettura suggeritami dal lavoro su Villa – Lobos, alla produzione per chitarra di Paganini, che credo sia un po’ troppo trascurata dai chitarristi e sulla quale forse si può dire qualcosa di nuovo.
Credo poi che non smetterò mai di “studiare” Segovia…
vedremo.
L’occasione è stata la coincidenza di questo anniversario del compositore con l’uscita del mio cd per la Universal (nella collana “Spirto Gentil”) che è dedicato proprio all’opera integrale per chitarra di Villa – Lobos.
Il motivo più profondo è invece legato alla formula del corso più che al tema di quest’anno: l’idea era quella di offrire una possibilità di approfondimento e lavoro insieme a giovani musicisti da me selezionati, che conoscevo e stimavo da tempo e che a loro volta, in genere, potevano essere in sintonia con il mio approccio, tentativamente “globale” e non tecnicistico al fatto musicale. Le due cose poi si sono fuse bene insieme: un musicista come Villa – Lobos, per lo spessore umano della sua musica, si presta particolarmente bene ad essere studiato all’interno di un contesto umano amichevole ed attento proprio a questa dimensione “umana” della musica.
Perchè ha scelto la ‘Scuola Grande di S.Filippo’ come luogo in cui svolgere questo lavoro? Un incontro casuale?
Anche qui ha giocato un ruolo fondamentale l’amicizia; in questo caso quella con Romano Valentini che della SGSF è direttore e che, sentendomi parlare di questo progetto del corso durante un pranzo tra amici musicisti l’estate scorsa, manifestò la sua disponibilità ad ospitarlo.
Nel ripensare al lavoro svolto, quale il giudizio ricavato e quali le indicazioni per il futuro?
Paradossalmente la cosa di cui sono più contento – certo, dovuta anche al bel clima di lavoro che si è instaurato da subito nel corso – è stata la crescita della mia conoscenza della musica che abbiamo approfondito con gli studenti. Un po’ scherzando dico che vorrei farlo adesso il disco, dopo un anno così di lavoro – perché la musica bella, più la si frequenta e più la si scopre, anche nel momento di insegnarla. Mi piacerebbe continuare questo lavoro anche l’anno prossimo, magari su un argomento diverso.
Sono poi stato colpito da alcune intuizioni emerse dagli studenti, frasi che abbiamo anche esposto in bacheca. Certo, sappiamo che le intuizioni poi devono tradursi in lavoro, ma il brivido della scoperta ha un fascino particolare: la conoscenza è sempre un avvenimento, ha detto qualcuno.
La scelta del “contenitore”, cioè la SGSF, si è rivelata poi particolarmente felice; un luogo dove si lavora con passione, precisione e competenza e che ha reso certamente più piacevole e proficuo il lavoro del corso.
E' una costante della sua attività di docente quella di coinvolgere gli allievi in un lavoro di gruppo. Cosa la spinge a fare questo? Qual è la preoccupazione? E' già forse un giudizio sulla didattica?
Non so se è un giudizio sulla didattica; nei corsi e masterclasses ho sempre favorito questa modalità perché era quella che avevo visto quando ero studente ai corsi di Diaz, Ghiglia, Segovia…. Nel farlo da insegnante mi sono reso conto che la cosa era molto interessante e stimolante per me, perché quando è presente la classe emergono spunti ulteriori rispetto alla lezione in cui l’allievo è da solo con l’insegnante.
Allora cerco di portare questa esperienza anche nel lavoro in conservatorio, almeno in certi momenti. Per l’esperienza che ho, credo che limitare la esperienza didattica ad una serie di incontri “a due” con l’allievo sia meno proficuo.
Qual è il compito di un musicista oggi?
Forse è quello di sempre: fare incontrare tendenzialmente a tutti la bellezza della musica.
Forse la chitarra oggi aiuta in questo compito perché è uno strumento ricco di potenzialità e dal suono nobile e poetico, ma nello steso tempo è duttile nell’adattarsi a diversi linguaggi musicali ed è trasportabile praticamente ovunque; quindi si presta a fare da tramite a questo incontro tra le persone e la bellezza della musica anche al di fuori dei canali concertistici tradizionali e degli ambiti ufficialmente deputati a questo.
Me ne accorgo pensando a quando suono per gli amici, nelle scuole e perfino quando approfitto dei viaggi in treno per studiare; siccome la gente ormai non canta praticamente più, sentire echeggiare improvvisamente qualche suono “ordinato” ed emesso dal vivo, magari in viaggio, dove uno non se lo aspetterebbe, genera come una immediata simpatia. Ma anche nei concerti “ufficiali” cerco di arrivare al “nocciolo” senza incrostazioni e paludamenti che distraggano o creino inutili distanze; e il nocciolo è l’incontro, direi “da cuore a cuore” tra la musica, chi la suona e chi l’ascolta.
Qual è per Lei il significato primo dell'esperienza musicale?
IL suono è un mistero in se stesso; come tutto ciò che esiste, del resto - qualcosa che potrebbe non esserci e invece c’è. Non a caso un grande educatore per dare un esempio concreto del fatto che l’uomo non si fa da sé dice che l’uomo è come una voce - che esprime, per il suo stesso essere, la persona che la emette.
Ma quando i suoni sono anche ordinati con arte e diventano espressione profonda e bella del cuore dell’uomo, della sua storia, della sua cultura, di ciò a cui tende, diventano allora grandi compagni di strada nell’avventura della vita, occasione di conoscenza vera, indici puntati verso l’ideale del cammino umano.
Nella musica, come nell'arte in generale, resta fondamentale per crescere il rapporto con un 'maestro'. Appartiene solo alla sfera della tecnica oppure questo legame feconda anche gli altri aspetti della vita di chi si implica con esso? Ha ancora senso per Lei oggi parlare di maestri?
Pensando a quella che è stata certamente la mia esperienza più significativa come studente di musica, e cioè il mio rapporto con Segovia, direi che ad un certo punto l’aspetto tecnico è quello meno importante.
Ho parlato e scritto molto di questo rapporto, che iniziò veramente quando io mi rivolsi a Segovia per un paragone rispetto al mio tentativo di immedesimazione personale nella musica. Più che qualcuno da copiare cercavo allora, e trovai, qualcuno in cui immedesimarmi – nella sua tensione alla bellezza, nel suo rispetto del testo, nei criteri operativi ispiratori di un fare artistico. In questo senso forse la parola “maestro” è un po’ stretta, e bisognerebbe usare piuttosto, sia pure con cautela, quella di “padre”; è infatti, questo, un livello in cui chi insegna partecipa ad una esperienza di paternità, nella quale si genera qualcosa che è originale, proprio perché (è un paradosso) figlio e non semplice imitatore, come direbbe Peguy. Ho letto che Segovia disse ad un allievo: “Non devi cercare di essere il secondo Segovia, ma il primo te stesso”. E’ una frase molto segoviana, dice molto in poche parole - in questo ancora non riesco tanto bene!
Comunque, è più facile oggi per un giovane appoggiarsi ad un adulto chiedendogli “cosa fare” invece che impegnarsi nel fare propri i suoi criteri; ma così facendo, a parte un momento iniziale in cui è necessario imitare per apprendere, non si diventa mai “adulti”, neanche artisticamente.
Le difficoltà del momento presente ostacolano spesso lo sviluppo della vita del giovane musicista, influendo sopratutto sull'entusiasmo che nasce dalla percezione di avere in mano 'uno strumento' per l'espressione di sé. Cosa ritiene sia fondamentale comunicare ai giovani musicisti di oggi?
Come diceva Don Abbondio, il coraggio uno non se lo può dare…
Nelle difficoltà che porterebbero a rinunciare - o ridimensionare, che è poi la stessa cosa – ad una idealità è fondamentale, per ciascuno di noi, non essere soli, ma incontrare qualcuno che a queste idealità e al valore di questi strumenti non rinuncia. Allora può venire voglia anche a noi di essere così. Perché certo il “fuoco sacro”, come diceva Segovia, non può essere dato dal maestro all’allievo; può però essergli testimoniato.
C'è nella produzione contemporanea una domanda di significato, una preoccupazione di comunicare un senso oppure la musica oggi parla un linguaggio tutto suo, indecifrabile dai più e quindi non utile alla causa umana?
Sarebbe un discorso lunghissimo, ma credo in sintesi che la musica d’oggi
non sia affatto di per sé condannata a tale inutilità .
E non in quanto possa permettersi di ignorare - o magicamente tirarsi fuori - dal contesto culturale ed anche di linguaggio che è, per varie cause, “accaduto” nel Novecento ed oltre, inevitabilmente anche segnato dalle ferite di questo tempo così drammatico. E, come diceva Stravinski, non possiamo non essere contemporanei.
E’ vero che forse c’è tanta musica contemporanea “inutile”, ma potrei anche parlare di tanti compositori ed opere in cui questa “utilità” io la trovo, e non solo: la trovo per qualcosa che non potrei trovare così neanche nei più grandi capolavori del passato musicale. Non perché questi capolavori del passato siano di minor valore rispetto a quanto si scrive oggi, ma perché uno spunto, anche piccolo, di bellezza reale che accade in un’opera d’arte che “fa i conti” con la modernità mi testimonia che anche nel deserto di oggi possono nascere fiori. Per questo sono convinto della importanza di collaborare con tanti compositori che scrivono per me.
Poi si tratta anche di trovare le giuste forme comunicative: credo che nessuno possa aver trovato strane o inappropriate le dissonanze della musica di Penderecki nella colonna sonora del nuovo film “Katyn” di Wajda;
il contesto spiegava, anzi direi che urgeva una musica così. Questa allora diventa una ulteriore responsabilità mia: inserire la musica in un contesto che aiuti a capirla. E chissà che anche in questo la SGSF possa essere di aiuto…
Progetti futuri?
Sicuramente portare avanti, o forse piuttosto essere portato da questo “avvenimento” che è stato ed è l’anno di Villa – Lobos, il cd e quanto è nato negli scorsi mesi. Pare delinearsi anche un tour brasiliano tra pochi mesi.
Vorrei poi, tenendo come riferimento quella musica così viva , nuova e comunicativa, portare lo stesso impeto nel lavoro sulla musica contemporanea, anche ordinando e rendendo accessibile il repertorio ormai consistente di pezzi che si sono scritti e si stanno scrivendo per me. Sento l’esigenza di registrare, pubblicare ed insegnare i prodotti più significativi di questo repertorio. Anche su questo ho alcuni inviti, in particolare da alcuni conservatori, a presentare i frutti di questo lavoro, al quale vorrei dedicare anche il prossimo corso alla SGSF.
Vorrei anche dedicarmi, sempre utilizzando la chiave di lettura suggeritami dal lavoro su Villa – Lobos, alla produzione per chitarra di Paganini, che credo sia un po’ troppo trascurata dai chitarristi e sulla quale forse si può dire qualcosa di nuovo.
Credo poi che non smetterò mai di “studiare” Segovia…
vedremo.