La nuova musica per chitarra di compositori italiani.
dalla CONFERENZA tenuta ad Alessandria, 26-9-1998
Il primo scopo di questa relazione è informativo: fare conoscere ai colleghi chitarristi l'esistenza di un corpus ragguardevole di musiche composte negli ultimi anni da alcuni noti compositori italiani non chitarristi. I tre autori di cui intendo parlare sono Gilberto Cappelli (1952), Paolo Ugoletti (1956) e Pippo Molino (1947). Perchè ho scelto in particolare questi tre? Essi fanno parte di un ormai vasto numero di compositori con i quali ho collaborato negli ultimi quindici anni (potrei citare Paccagnini, Guarnieri, Badings, Chiara Benati, Solbiati e tanti altri); non c'è tempo qui di raccontare tutta la storia, ma chi fosse interessato può leggerne il resoconto che ho scritto sulla rivista on-line "seicorde.it", fondata e diretta dal dottor Marco Bazzotti, qui presente. (Colgo l'occasione per ringraziarlo pubblicamente per il servizio che fa a tutti i chitarristi mantenendo questa utilissima rivista su Internet, e per il modo appassionato ed imparziale con cui lo porta avanti). In ogni caso mi pare degno di nota il fatto che la mia collaborazione con i compositori ha portato finora alla nascita di circa centocinquanta nuovi pezzi per chitarra, sia solista che in varie formazioni cameristiche e con orchestra: ebbene, più della metà di questi pezzi sono stati scritti dai tre autori menzionati -- e questo sarebbe già un motivo che giustifica la mia scelta -- ma i tre compositori sono accomunati anche da un altro fattore, quello che da il titolo al mio intervento di oggi: infatti, pur trattandosi di musicisti assai diversi l'uno dall'altro, sia per personalità che per storia e formazione, tutti e tre si sono posti il problema di comunicare col pubblico attraverso la loro musica.
Chi segue un po' la musica contemporanea sa che questa preoccupazione di comunicare da parte dei compositori non è così ovvia e scontata: ci sono infatti importanti e famosi compositori e didatti di oggi- si potrebbero fare i nomi- che giudicano questo un falso problema (ci sono poi altri che invece dicono che tutto si risolve tornando a scrivere in modo consonante, tonale, e che quindi il problema si riduce ad una semplice scelta di quale linguaggio usare). Non intendo qui entrare nella polemica e tantomeno dare ricette, ma solo, come ho detto, informare della esistenza di queste nuove musiche per chitarra e della sfida che le sottende, lasciando poi a ciascuno il giudizio sui risultati raggiunti . Tra l'altro molte delle partiture ono abbastanza facilmente reperibili, essendo pubblicate da Ricordi, Suvini-Zerboni, Edi-Pan ed altri.
Parlando del primo compositore, Gilberto Cappelli, assai noto a chi segue le vicende della musica italiana di oggi ( ha tra l'altro partecipato a cinque Biennali di Venezia, fino al '93) dico subito che proprio l'ultima di queste Biennali, quella del '93, coincise con un suo ritorno alla composizione dopo anni di silenzio, e il primo pezzo che ruppe questo silenzio è uno straordinario pezzo per chitarra sola - s'intitola "Memoria" - che suonai a Venezia e che fu poi trasmesso da Rai 3 e pubblicato da Ricordi. Rispetto alla produzione precedente di Cappelli c'è qui come un ritorno al "suono"- prima, ad esempio, usava moltissimo gli armonici - e nelle venti pagine del pezzo - vi mostro la prima anche per dare una idea della complessità di ricerca musicale e strumentale- la chitarra viene sfruttata dal più tenue tremolato di armonici ai più dirompenti sforzati, con una grande tensione espressiva mantenuta fino alla fine del pezzo. Nei molti brani successivi Cappelli prosegue la sua ricerca semplificando drasticamente i mezzi espressivi: poche note, figure ritmiche semplici, ( vedi i Tre Frammenti, pure editi da Ricordi),uso esasperato di indicazioni dinamiche ed agogiche, attenzione a quelli che potremmo chiamare valori melodici, che per Cappelli sono presenti anche nella sua produzione più dissonante, e che lo portano, in certe occasioni, ad utilizzare un linguaggio esplicitamente tonale, e pure originalissimo, come nelle armonizzazioni di due canti popolari russi ( vedi ad esempio gli accordi sulle scale ascendenti e discendenti).
Nella produzione di Cappelli segnalo "Suoni di luce" per violino e chitarra, i "Sette Salmi" per coro e chitarra, "A Corde" per chitarra e pianoforte, tutti editi da Ricordi, mentre tantissimi altri pezzi ( ne ha fatti più di cinquanta!) sono ancora inediti.
Vengo al secondo autore, Paolo Ugoletti. Quando lo conobbi, una quindicina di anni fa, aveva già composto per chitarra, a differenza di Cappelli e Molino che ho dovuto diciamo così " convertire" allo strumento. Ugoletti è stato una specie di enfant prodige della composizione: diplomatosi giovanissimo, cominciò- pure giovanissimo- ad insegnare in Conservatorio e a pubblicare con un grosso editore come Suvini-Zerboni: ritenuto tra i migliori allievi di Donatoni e perfino citato dal Dizionario della UTET, ad un certo punto si è staccato dal suo maestro per intraprendere una ricerca molto personale, noncurante, come del resto Cappelli, di seguire le strade ufficiali indicate dalla critica. Gli chiesi un pezzo per il mio primo disco, e lui me ne fece subito tre: il primo, Nocturne, fu inciso e edito per la Edi-Pan, mentre gli altri due furono pubblicati da Suvini- Zerboni, che e' pure proprietaria della " Giga", scritta nel 1991, una straordinaria fuga inversa a tre voci per chitarra sola, in cui la seconda parte del pezzo è speculare alla prima : è una disinvolta, quasi sfacciata prova di bravura compositiva e di conoscenza dello strumento, mascherata da temi che ricordano quelli della musica leggera. In effetti da un po' di tempo Ugoletti scrive quella che lui definisce "finta musica leggera", in cui unisce all'aspetto accattivante dei temi le più rigorose tecniche di scrittura. Anche Paolo si è cimentato col canto popolare, sia armonizzando canti popolari russi e irlandesi, sia scrivendo pezzi originali ispirati al folclore irlandese, tra cui alcune canzoni per canto e chitarra e due pezzi per violino e chitarra che sono tra le cose più entusiasmanti per ogni tipo di pubblico tra tutta la musica che conosco. Ora mi ha promesso il suo secondo concerto per chitarra e orchestra.
Pippo Molino ha scritto molto meno pezzi per chitarra rispetto agli altri due autori citati: per chitarra sola esistono "Frammento A e Frammento B", scritti nel 1984 sempre in funzione della incisione su disco e pubblicazione per Edi-Pan ( non posso non ricordare e ringraziare qui anche Angelo Gilardino, che gentilmente mi scrisse un pezzo per quella occasione). Si tratta di pezzi densissimi, e certo non di facile ascolto, ed è impressionante paragonarli con i successivi "Frammento C" e "Frammento D", scritti una decina di anni dopo, dove l'intento di farsi capire il più possibile da tutti è evidentissimo, specie nel " C", pur senza rinunciare alle peculiarità di scrittura e di scuola dell'autore. Anche qui si potrebbe parlare di una ritrovata" semplicità", che vediamo anche nei pezzi di Molino per voce e chitarra tra cui " Esodo", pubblicato da Rugginenti, e nel dramma "La Pretesa Umana", in cui la chitarra ha una parte di rilievo. Il cambiamento nella scrittura di Molino non è, dice l'autore, frutto di una ricerca a tavolino, ma dipende da altri aspetti della propria personalità (fatti, incontri, rapporti...) : da qui il coraggio di rischiare strade nuove.
Per capire meglio il tentativo di Molino segnalo che egli è anche autore, assieme ad altri musicisti, di "Manifesto Musica '94", una presa di posizione a favore della sincerità e libertà espressiva, e che fa parte dello staff editoriale di un collana discografica, "Spirto Gentil", che collabora con il gruppo Polygram e con la Emi. "Spirto Gentil" è nata con lo scopo di avvicinare, con un taglio educativo, il pubblico alla grande musica. Questa collana sta rappresentando un po' un boom discografico nel campo della musica classica, perché i suoi 6 titoli usciti finora hanno venduto più di cinquantamila copie, il che per il mercato discografico della classica è un fatto enorme se pensiamo che la media delle vendite italiane di un cd di classica è - sembra incredibile ma il dato è confermato dal direttore di Polygram classica, Mirko Gratton- attorno alle le cento copie. Qui azzardo un giudizio personale: l'impressione che questi miei amici compositori abbiano sentito sempre viva una esigenza di comunicazione e di espressione, ed abbiano provato inizialmente a veicolarla nelle strutture linguistiche imparate a scuola ( tutti hanno studiato con famosi maestri), accorgendosi poi, gradualmente, di come la loro ricerca esigesse ad un certo punto anche di forgiarsi strumenti espressivi e linguistici diversi da quelli dominanti, almeno in Italia in certi anni.
E' vero che queste scelte di libertà un po' si pagano, ma, d'altro canto, c'è un inizio di risposta del pubblico -- certo, di quel pubblico che viene a conoscenza di queste iniziative -- che mi sembra decisamente incoraggiante. A questo proposito è interessante notare che l'opinione del pubblico, un po' disprezzata da taluni musicisti, è stata tenuta in grande considerazione da artisti al di sopra di ogni sospetto ...
Stravinski scriveva nella "Poetica musicale" : "E' mia convinzione che il pubblico, nella sua spontaneità, si dimostri sempre più sincero di coloro che si erigono professionalmente a giudici delle opere d'arte" e ancora "Compiuta la sua opera, il creatore prova necessariamente il bisogno di far partecipare agli altri la sua gioia". E ho trovato un bellissimo scritto del grande direttore d'orchestra Furtwangler sulla musica del '900 dove ad un certo punto dice : "Vi è una differenza fondamentale e sorprendente tra l'opinione di un individuo isolato, talvolta falsa o anche sciocca, e la reazione del pubblico nel suo insieme, la maggior parte delle volte giudiziosa, anzi intelligente". E ancora: "Per l'artista, l'opera è simbolo di una comunione vivente tra lui ed i suoi ascoltatori. La prospettiva, addirittura la certezza, di non ricevere risposta da colui per il quale si compone, distrugge a poco a poco la volontà e infine la capacità di creare. Senza una comunità che la regga e la sostenga, l'opera musicale- opera di comunione- non può vivere".
I miei illustri colleghi ci parlano oggi di Tansman e di Respighi, e oggi si parla anche di Segovia e di Yepes, mentre lo scorso anno abbiamo celebrato Alirio Diaz, tutti personaggi indiscutibilmente legati al filo di una tradizione culturale, e a quella "comunità" di cui parlava Furtwangler. D'altra parte molti hanno pensato che il progresso creativo, sia nella composizione che nella interpretazione, implicasse una radicale rottura con questo passato, una rottura con la tradizione, tanto che Eliot Fisk diceva in una intervista recente che la sua generazione di chitarristi si trova ad essere come " senza padri". Sappiamo che questo è avvenuto in tutte le arti, e certo questa rottura ha avuto anche aspetti di sincerità e di coraggio, specie quando si opponeva al formalismo e ai luoghi comuni .
Il tentativo dei compositori di cui ho parlato si potrebbe forse definire quello di un progresso nella continuità, cioè evitando una rottura programmatica col passato. Non a caso si torna a parlare di melodia, a volte perfino di canto popolare -- e questo c'entra anche con la storia della chitarra !
Giustamente le opere d'arte si devono giudicare dai risultati, e nel rimettere quindi a ciascuno la responsabilità di un giudizio personale, non posso concludere senza dire di essere comunque contento, come chitarrista, del fatto che il nostro strumento sia stato giudicato idoneo al loro tentativo da compositori non chitarristi. Concluderei proponendovi due ascolti : "Frammento C" di Molino, e un canto popolare russo elaborato da Cappelli (la voce è quella di Sonia Turchetta).
Grazie.
Piero Bonaguri
dalla CONFERENZA tenuta ad Alessandria, 26-9-1998
Il primo scopo di questa relazione è informativo: fare conoscere ai colleghi chitarristi l'esistenza di un corpus ragguardevole di musiche composte negli ultimi anni da alcuni noti compositori italiani non chitarristi. I tre autori di cui intendo parlare sono Gilberto Cappelli (1952), Paolo Ugoletti (1956) e Pippo Molino (1947). Perchè ho scelto in particolare questi tre? Essi fanno parte di un ormai vasto numero di compositori con i quali ho collaborato negli ultimi quindici anni (potrei citare Paccagnini, Guarnieri, Badings, Chiara Benati, Solbiati e tanti altri); non c'è tempo qui di raccontare tutta la storia, ma chi fosse interessato può leggerne il resoconto che ho scritto sulla rivista on-line "seicorde.it", fondata e diretta dal dottor Marco Bazzotti, qui presente. (Colgo l'occasione per ringraziarlo pubblicamente per il servizio che fa a tutti i chitarristi mantenendo questa utilissima rivista su Internet, e per il modo appassionato ed imparziale con cui lo porta avanti). In ogni caso mi pare degno di nota il fatto che la mia collaborazione con i compositori ha portato finora alla nascita di circa centocinquanta nuovi pezzi per chitarra, sia solista che in varie formazioni cameristiche e con orchestra: ebbene, più della metà di questi pezzi sono stati scritti dai tre autori menzionati -- e questo sarebbe già un motivo che giustifica la mia scelta -- ma i tre compositori sono accomunati anche da un altro fattore, quello che da il titolo al mio intervento di oggi: infatti, pur trattandosi di musicisti assai diversi l'uno dall'altro, sia per personalità che per storia e formazione, tutti e tre si sono posti il problema di comunicare col pubblico attraverso la loro musica.
Chi segue un po' la musica contemporanea sa che questa preoccupazione di comunicare da parte dei compositori non è così ovvia e scontata: ci sono infatti importanti e famosi compositori e didatti di oggi- si potrebbero fare i nomi- che giudicano questo un falso problema (ci sono poi altri che invece dicono che tutto si risolve tornando a scrivere in modo consonante, tonale, e che quindi il problema si riduce ad una semplice scelta di quale linguaggio usare). Non intendo qui entrare nella polemica e tantomeno dare ricette, ma solo, come ho detto, informare della esistenza di queste nuove musiche per chitarra e della sfida che le sottende, lasciando poi a ciascuno il giudizio sui risultati raggiunti . Tra l'altro molte delle partiture ono abbastanza facilmente reperibili, essendo pubblicate da Ricordi, Suvini-Zerboni, Edi-Pan ed altri.
Parlando del primo compositore, Gilberto Cappelli, assai noto a chi segue le vicende della musica italiana di oggi ( ha tra l'altro partecipato a cinque Biennali di Venezia, fino al '93) dico subito che proprio l'ultima di queste Biennali, quella del '93, coincise con un suo ritorno alla composizione dopo anni di silenzio, e il primo pezzo che ruppe questo silenzio è uno straordinario pezzo per chitarra sola - s'intitola "Memoria" - che suonai a Venezia e che fu poi trasmesso da Rai 3 e pubblicato da Ricordi. Rispetto alla produzione precedente di Cappelli c'è qui come un ritorno al "suono"- prima, ad esempio, usava moltissimo gli armonici - e nelle venti pagine del pezzo - vi mostro la prima anche per dare una idea della complessità di ricerca musicale e strumentale- la chitarra viene sfruttata dal più tenue tremolato di armonici ai più dirompenti sforzati, con una grande tensione espressiva mantenuta fino alla fine del pezzo. Nei molti brani successivi Cappelli prosegue la sua ricerca semplificando drasticamente i mezzi espressivi: poche note, figure ritmiche semplici, ( vedi i Tre Frammenti, pure editi da Ricordi),uso esasperato di indicazioni dinamiche ed agogiche, attenzione a quelli che potremmo chiamare valori melodici, che per Cappelli sono presenti anche nella sua produzione più dissonante, e che lo portano, in certe occasioni, ad utilizzare un linguaggio esplicitamente tonale, e pure originalissimo, come nelle armonizzazioni di due canti popolari russi ( vedi ad esempio gli accordi sulle scale ascendenti e discendenti).
Nella produzione di Cappelli segnalo "Suoni di luce" per violino e chitarra, i "Sette Salmi" per coro e chitarra, "A Corde" per chitarra e pianoforte, tutti editi da Ricordi, mentre tantissimi altri pezzi ( ne ha fatti più di cinquanta!) sono ancora inediti.
Vengo al secondo autore, Paolo Ugoletti. Quando lo conobbi, una quindicina di anni fa, aveva già composto per chitarra, a differenza di Cappelli e Molino che ho dovuto diciamo così " convertire" allo strumento. Ugoletti è stato una specie di enfant prodige della composizione: diplomatosi giovanissimo, cominciò- pure giovanissimo- ad insegnare in Conservatorio e a pubblicare con un grosso editore come Suvini-Zerboni: ritenuto tra i migliori allievi di Donatoni e perfino citato dal Dizionario della UTET, ad un certo punto si è staccato dal suo maestro per intraprendere una ricerca molto personale, noncurante, come del resto Cappelli, di seguire le strade ufficiali indicate dalla critica. Gli chiesi un pezzo per il mio primo disco, e lui me ne fece subito tre: il primo, Nocturne, fu inciso e edito per la Edi-Pan, mentre gli altri due furono pubblicati da Suvini- Zerboni, che e' pure proprietaria della " Giga", scritta nel 1991, una straordinaria fuga inversa a tre voci per chitarra sola, in cui la seconda parte del pezzo è speculare alla prima : è una disinvolta, quasi sfacciata prova di bravura compositiva e di conoscenza dello strumento, mascherata da temi che ricordano quelli della musica leggera. In effetti da un po' di tempo Ugoletti scrive quella che lui definisce "finta musica leggera", in cui unisce all'aspetto accattivante dei temi le più rigorose tecniche di scrittura. Anche Paolo si è cimentato col canto popolare, sia armonizzando canti popolari russi e irlandesi, sia scrivendo pezzi originali ispirati al folclore irlandese, tra cui alcune canzoni per canto e chitarra e due pezzi per violino e chitarra che sono tra le cose più entusiasmanti per ogni tipo di pubblico tra tutta la musica che conosco. Ora mi ha promesso il suo secondo concerto per chitarra e orchestra.
Pippo Molino ha scritto molto meno pezzi per chitarra rispetto agli altri due autori citati: per chitarra sola esistono "Frammento A e Frammento B", scritti nel 1984 sempre in funzione della incisione su disco e pubblicazione per Edi-Pan ( non posso non ricordare e ringraziare qui anche Angelo Gilardino, che gentilmente mi scrisse un pezzo per quella occasione). Si tratta di pezzi densissimi, e certo non di facile ascolto, ed è impressionante paragonarli con i successivi "Frammento C" e "Frammento D", scritti una decina di anni dopo, dove l'intento di farsi capire il più possibile da tutti è evidentissimo, specie nel " C", pur senza rinunciare alle peculiarità di scrittura e di scuola dell'autore. Anche qui si potrebbe parlare di una ritrovata" semplicità", che vediamo anche nei pezzi di Molino per voce e chitarra tra cui " Esodo", pubblicato da Rugginenti, e nel dramma "La Pretesa Umana", in cui la chitarra ha una parte di rilievo. Il cambiamento nella scrittura di Molino non è, dice l'autore, frutto di una ricerca a tavolino, ma dipende da altri aspetti della propria personalità (fatti, incontri, rapporti...) : da qui il coraggio di rischiare strade nuove.
Per capire meglio il tentativo di Molino segnalo che egli è anche autore, assieme ad altri musicisti, di "Manifesto Musica '94", una presa di posizione a favore della sincerità e libertà espressiva, e che fa parte dello staff editoriale di un collana discografica, "Spirto Gentil", che collabora con il gruppo Polygram e con la Emi. "Spirto Gentil" è nata con lo scopo di avvicinare, con un taglio educativo, il pubblico alla grande musica. Questa collana sta rappresentando un po' un boom discografico nel campo della musica classica, perché i suoi 6 titoli usciti finora hanno venduto più di cinquantamila copie, il che per il mercato discografico della classica è un fatto enorme se pensiamo che la media delle vendite italiane di un cd di classica è - sembra incredibile ma il dato è confermato dal direttore di Polygram classica, Mirko Gratton- attorno alle le cento copie. Qui azzardo un giudizio personale: l'impressione che questi miei amici compositori abbiano sentito sempre viva una esigenza di comunicazione e di espressione, ed abbiano provato inizialmente a veicolarla nelle strutture linguistiche imparate a scuola ( tutti hanno studiato con famosi maestri), accorgendosi poi, gradualmente, di come la loro ricerca esigesse ad un certo punto anche di forgiarsi strumenti espressivi e linguistici diversi da quelli dominanti, almeno in Italia in certi anni.
E' vero che queste scelte di libertà un po' si pagano, ma, d'altro canto, c'è un inizio di risposta del pubblico -- certo, di quel pubblico che viene a conoscenza di queste iniziative -- che mi sembra decisamente incoraggiante. A questo proposito è interessante notare che l'opinione del pubblico, un po' disprezzata da taluni musicisti, è stata tenuta in grande considerazione da artisti al di sopra di ogni sospetto ...
Stravinski scriveva nella "Poetica musicale" : "E' mia convinzione che il pubblico, nella sua spontaneità, si dimostri sempre più sincero di coloro che si erigono professionalmente a giudici delle opere d'arte" e ancora "Compiuta la sua opera, il creatore prova necessariamente il bisogno di far partecipare agli altri la sua gioia". E ho trovato un bellissimo scritto del grande direttore d'orchestra Furtwangler sulla musica del '900 dove ad un certo punto dice : "Vi è una differenza fondamentale e sorprendente tra l'opinione di un individuo isolato, talvolta falsa o anche sciocca, e la reazione del pubblico nel suo insieme, la maggior parte delle volte giudiziosa, anzi intelligente". E ancora: "Per l'artista, l'opera è simbolo di una comunione vivente tra lui ed i suoi ascoltatori. La prospettiva, addirittura la certezza, di non ricevere risposta da colui per il quale si compone, distrugge a poco a poco la volontà e infine la capacità di creare. Senza una comunità che la regga e la sostenga, l'opera musicale- opera di comunione- non può vivere".
I miei illustri colleghi ci parlano oggi di Tansman e di Respighi, e oggi si parla anche di Segovia e di Yepes, mentre lo scorso anno abbiamo celebrato Alirio Diaz, tutti personaggi indiscutibilmente legati al filo di una tradizione culturale, e a quella "comunità" di cui parlava Furtwangler. D'altra parte molti hanno pensato che il progresso creativo, sia nella composizione che nella interpretazione, implicasse una radicale rottura con questo passato, una rottura con la tradizione, tanto che Eliot Fisk diceva in una intervista recente che la sua generazione di chitarristi si trova ad essere come " senza padri". Sappiamo che questo è avvenuto in tutte le arti, e certo questa rottura ha avuto anche aspetti di sincerità e di coraggio, specie quando si opponeva al formalismo e ai luoghi comuni .
Il tentativo dei compositori di cui ho parlato si potrebbe forse definire quello di un progresso nella continuità, cioè evitando una rottura programmatica col passato. Non a caso si torna a parlare di melodia, a volte perfino di canto popolare -- e questo c'entra anche con la storia della chitarra !
Giustamente le opere d'arte si devono giudicare dai risultati, e nel rimettere quindi a ciascuno la responsabilità di un giudizio personale, non posso concludere senza dire di essere comunque contento, come chitarrista, del fatto che il nostro strumento sia stato giudicato idoneo al loro tentativo da compositori non chitarristi. Concluderei proponendovi due ascolti : "Frammento C" di Molino, e un canto popolare russo elaborato da Cappelli (la voce è quella di Sonia Turchetta).
Grazie.
Piero Bonaguri